“Che cos’è un nome?” si chiedeva la protagonista nella mitica scena del balcone di Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
Oggi, invece, noi di #IoLaButtolì ci siamo chiesti: “Che cos’è un rifiuto?”.
In generale, come stabilito dalle normative italiane ed europee – si considerano rifiuti i materiali residui delle diverse attività umane, di cui esiste la volontà o la necessità di disfarsi.

Nel corso di #IoLaButtoLì abbiamo imparato a conoscere il littering, che è l’abominevole abitudine di abbandonarli distrattamente in giro i piccoli rifiuti.
Ma… hai mai sentito l’espressione inglese plant litter?
Indica le foglie, i rametti, le ghiande, gli aghi che sono morti e caduti dagli arbusti sul terreno di boschi e foreste.
(La traduzione Plant Litter è lettiera. Ehi, vogliamo svelare un segreto: qualcuno di noi fino ad oggi associava la parola lettiera solo allo strato di argilla o altro materiale da cospargere sulla cassetta dei bisogni del gatto. Siamo felici di aver scoperto questo nuovo, importante, significato del termine, usato soprattutto in agricoltura).

Plant litter Vs Littering dell’homo sapiens contemporaneo

A differenza del littering prodotto dall’homo sapiens di oggidì, quello generato dalle piante non è un problema, al contrario! È una risorsa cruciale dell’ecosistema perché contrasta l’erosione, aiuta a prevenire gli incendi e arricchisce lo strato superiore del suolo di nutrienti, permettendo al ciclo vitale di proseguire.
Infatti, organismi decompositori come funghi e lombrichi (dei lombrichi ne abbiamo parlato anche qui) si occupano di smaltire i rifiuti prodotti dalle piante, scomponendoli e rimettendo a disposizione dell’ecosistema sostanze nutritive come acqua, azoto e anche anidride carbonica (ti sorprende? Eppure, come tutti abbiamo studiato a scuola, nelle giuste quantità la C02 è indispensabile per la fotosintesi clorofilliana).

La differenza tra i residui umani e quelli naturali è che, in condizioni favorevoli, la natura sa come rigenerare il proprio littering senza produrre intasamenti o accumuli. Così riesce a mantenere uno stato di equilibrio.

Biomimesi: quando la tecnologia attinge processi della natura

È proprio per imparare dalla natura, anzi per capire come imitarla, che in questi anni si stanno sviluppando sempre di più le ricerche di biomimetica, una disciplina che studia i principi dei processi naturali per applicarli alla tecnologia umana.
Non è fantascienza o fantanatura.
Dall’architettura all’energia, fino ai colori e alla moda, la biomimetica offre una miriade di applicazioni possibili e già realizzate (se mastichi un po’ di inglese puoi dare un’occhiata a questa sezione sul sito del Biomimicry Institute, un’organizzazione non profit che si occupa proprio di questa disciplina).
Uno dei primi esempi di biomimetica consapevole?
Il lavoro dell’architetto e botanico Joseph Paxton che, a metà dell’Ottocento, progettò il famoso Crystal Palace per l’esposizione Universale di Londra ispirandosi alle nervature della Victoria Amazonica, una grossa e robusta ninfea capace di reggere il peso di una persona. Paxton ne imitò la struttura quando progettò gli archi della volta dell’edificio.

L’approccio biomimetico ha molto da offrire alla cultura della sostenibilità, anzi possiamo addirittura affermare che ne costituisce l’ossatura. In un contesto ideale di economia circolare i rifiuti da incenerire e/o far sparire sono ridotti all’osso.

Approfondi-AMO

No, non è utopia pura.
È la strada per il futuro e sono in tanti che la stanno tracciando.
Se vuoi saperne di più prenditi un attimo e, per esempio, ascolta l’episodio Un futuro senza scarti del podcast Pensa circolare.
A proposito: ne approfittiamo per segnalare un altro podcast sull’ambiente, questa volta focalizzato sul cambiamento climatico: Emergenza Climattina di Giovanni Mori.
Usiamo bene le orecchie: approfondire i temi che ci stanno a cuore aiuta a combattere il littering, a capire il climate change e a promuovere la sostenibilità a 360°!